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  • Francesco Zuccone

Il danneggiamento del mezzo aziendale e la responsabilità del lavoratore

La questione relativa al danneggiamento del mezzo aziendale da parte del lavoratore è stata trattata più volte dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità e molte sentenze, di conseguenza, hanno affrontato il tema delle possibili azioni che possono essere intraprese dal datore di lavoro.

Analizzeremo, di seguito, una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza 31 maggio 2022, n. 17711) con l’obiettivo di individuare e comprendere i più recenti orientamenti in argomento.


La vicenda


Un lavoratore, inquadrato nel I livello con mansioni di operatore ecologico anche con l’utilizzo di veicoli, mentre si trovava alla guida di un mezzo aziendale lava-strade, nei pressi di un incrocio semaforizzato, perdeva il controllo del mezzo, che si ribaltava sul fianco destro.

La polizia locale accertava l’assenza di fattori esterni che avessero potuto determinare il sinistro ed il lavoratore, che dichiarava di non ricordare nulla dell’incidente, riportava un trauma cranico minore e poli-contusione con prognosi di 20 giorni.

L’azienda datrice di lavoro, dal momento che il preventivo di spesa per la riparazione dei danni era superiore al valore residuo del veicolo, rendendo così non conveniente la riparazione , poneva la macchina definitivamente fuori servizio, irrogando al lavoratore la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni ed agiva in giudizio per il risarcimento danni, quantificato in € 30.286,81=, in base ad un calcolo effettuato dai propri uffici interni.


La vicenda processuale


In primo grado il Tribunale respingeva il ricorso dell'azienda, per difetto di prova del danno, in quanto il veicolo incidentato era stato messo definitivamente fuori servizio prima del giudizio e non erano stati chiariti i criteri in base ai quali gli uffici interni della società avevano quantificato il danno.

La Corte d’appello di Milano, riformando la sentenza del giudice di Prime Cure, condannava il lavoratore al risarcimento dei danni pari ad € 24.877,50, oltre interessi legali dal dovuto al saldo, in favore del datore di lavoro., nonché alla rifusione delle spese di CTU ed alla rifusione delle spese di lite dei due gradi di giudizio.

Secondo la Corte d’appello, in particolare, la responsabilità del sinistro appariva riconducibile in primis alla violazione dell’obbligo di diligenza di cui all’art. 2104 c.c. ed in secondo luogo all’art. 66 CCNL Federambiente, responsabilità di natura contrattuale.

Il sinistro poteva pertanto ricondursi ad imperizia del lavoratore, il quale non aveva adempiuto all’obbligo di provare la non imputabilità dell’inadempimento.

Il lavoratore provvedeva dunque a proporre ricorso per Cassazione per due motivi di impugnazione e l’Azienda resisteva con controricorso.


Il Giudizio della Corte di Cassazione


La Suprema Corte, in sintesi, ha ritenuto non fondati entrambi i motivi di impugnazione avanzati dal lavoratore.


Nel richiamare un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha statuito che, ai fini dell


'affermazione della responsabilità del lavoratore verso il datore di lavoro per un evento dannoso verificatosi nel corso dell'espletamento delle mansioni affidategli, il datore di lavoro dovesse provare la connessione tra l’evento dannoso e la condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di diligenza ed una volta assolto tale onere, il l


avoratore fosse tenuto a provare la non imputabilità a sé dell'inadempimento.

In considerazione del richiamato principio, la Suprema Corte ha ritenuto condivisibile il ragionamento dei giudici di secondo grado, fondato sulla valutazione delle prove raccolte e sugli elementi di fatto acquisiti agli atti, valorizzando gli accertamenti effettuati dalla Polizia Locale.

La Corte ha evidenziato come


, fra i compiti del giudice di merito, rientrino anche quello di valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuando i fatti da porre a fondamento della decisione, una volta valutata la loro rispondenza ai requisiti di legge.

I giudici, pertanto, hanno ritenuto infondate le contestazioni sollevate dal lavoratore alla sentenza impugnata e hanno respinto il ricorso presentato dallo stesso, esprimendo il seguente


principio:


“In tema di responsabilità del lavoratore per danneggiamento del mezzo aziendale a causa di sinistro avvenuto durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, il datore di lavoro deve provare che l’evento dannoso sia derivato da condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di diligenza, mentre il lavoratore è tenuto a provare la non imputabilità a sé dell’inadempimento” (Corte di Cassazione, Sentenza 31 maggio 2022, n. 17711).

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